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Spesa pubblica. Tagliare si può, ma la somma su cui agire è più ristretta di quanto si dice.

10/09/2014
La massa di spesa pubblica “politicamente” aggredibile ammonta a soli 144,1 miliardi, che per larghissima parte riguardano consumi intermedi).

La spending review è unanimemente considerata un fattore chiave per la prossima manovra di finanza pubblica. Il presidente del consiglio, intervistato dal direttore de Il Sole 24 Ore, ha affermato che “i tagli saranno non per 17 ma per 20 miliardi per investire in istruzione e ricerca senza aumentare tasse” e “il governo valuterà tagli non lineari del 3% per ciascun ministero”. ''Tagli per 20 miliardi?” - si è domandato il commissario alla spending review Cottarelli al meeting di Cernobbio – “Io credo sia possibile farli visto che si parte da una base di spesa primaria di 700 miliardi”.

In realtà, la base di partenza della revisione della spesa pubblica è assai più ristretta, tenendo conto di quanto è già stato fatto dal 2008 in avanti (i tagli lineari di Tremonti e le manovre di contenimento della spesa dei governi Monti e Letta), dei vincoli tecnici e degli orientamenti politici.

 

Nel 2013 la spesa pubblica complessiva è stata pari a 798,9 miliardi. Per quantificare la base di riferimento per la revisione della spesa può essere utile seguire una metodologia simile a quella utilizzata dall’allora commissario alla spending review Giarda nel suo Rapporto del maggio 2012. Dal totale vanno innanzitutto decurtate alcune voci di spesa estranee al processo di revisione della spesa:

  • gli interessi passivi (82 miliardi);
  • i trasferimenti alla UE (13,8 miliardi);
  • gli ammortamenti (31,4 miliardi)
  • le imposte indirette (16,8 miliardi).

Al netto di queste voci il totale della spesa teoricamente oggetto di revisione (SUB-TOTALE A) scende a 654,8 miliardi.

All’interno di questo perimetro incidono le scelte politiche del governo:

  • le pensioni (254,5 miliardi) sono state oggetto, a fine 2011, di una severa riforma che ha allungato l’età di pensionamento e rivisto in senso restrittivo numerosi elementi del sistema. Rimane aperto il problema dei cosiddetti “esodati” e periodicamente si affaccia nel dibattito pubblico la proposta – condivisa da diversi esponenti del governo e della maggioranza - di rendere maggiormente flessibili i meccanismi di uscita definiti dalla riforma Fornero. Le ipotesi di contributi di solidarietà sulle pensioni alte devono tener conto della giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza 116/2013) e quelle di ricalcolo delle pensioni a ripartizione devono superare una serie di problemi tecnici;
  • le altre prestazioni sociali in denaro (65 miliardi) comprendono numerosi interventi di welfare – sussidi di disoccupazione, cassa integrazione, indennità di accompagnamento, ecc. - che in una fase di prolungata crisi è oggettivamente complicato tagliare. Anzi, per alcune di queste misure (segnatamente, gli ammortizzatori sociali) l’orientamento del governo e della maggioranza è quello di un estensione della platea interessata, che potrebbe produrre un fabbisogno aggiuntivo di risorse. Un risparmio potrà essere conseguito nel momento in cui la ripresa porterà ad un riassorbimento della disoccupazione e del disagio sociale, ma il recente peggioramento del quadro congiunturale rende meno probabile questo scenario nel breve termine; 
  • gli investimenti pubblici tra il 2010 e il 2013 sono crollati (-18,5%). In questo caso il punto non è certo la riduzione, quanto il reperimento di risorse aggiuntive attraverso la riqualificazione della spesa per stimolare l’economia e migliorare la dotazione infrastrutturale del Paese;
  • per quanto riguarda, infine, i redditi da lavoro dipendente (il costo del pubblico impiego, pari a 164,1 miliardi, costantemente in calo dal 2010), tra il 2010 e il 2013 il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto di 144 mila unità (-4,2%) a causa delle misure di blocco totale o parziale del turn over via via assunte. I rinnovi dei contratti di lavoro sono congelati da quattro anni e le retribuzioni lorde pro-capite dal 2010 hanno mediamente perso il 5,9% in termini reali. Recentemente il governo ha annunciato la proroga del blocco a tutto il 2015. Nota bene: i numeri tendenziali del DEF 2014 non tengono conto di eventuali rinnovi contrattuali e incorporano le norme restrittive adottate negli anni più recenti. Un’eventuale ripresa dei rinnovi contrattuali avrebbe – secondo le stime del DEF - un costo aggiuntivo di 2,1 miliardi nel 2015, destinati a salire fino ad 8,6 miliardi nel 2018.  

Se tutte queste categorie di spesa fossero escluse dal processo di spending review, il perimetro della spesa pubblica assoggettabile alla revisione si ridurrebbe a 144,1 miliardi, un aggregato costituito quasi per intero da consumi intermedi. Circa metà di queste risorse sono destinate alla sanità, un comparto socialmente e politicamente molto “sensibile” la cui spesa dal 2011 si è costantemente ridotta.

La spending review è sicuramente necessaria. Bisogna evitare però di cedere a letture ideologiche della spesa pubblica. Un processo di contenimento della spesa primaria è già in atto: in valore assoluto è diminuita per tre anni di seguito (2010-2012) e il tendenziale del DEF prevede una discesa, in rapporto al PIL, dal 46% del 2013 al 42,8% del 2018. Questo percorso va consolidato e rafforzato, anche perché l’economia va peggio del previsto. Ma la principale sfida, per quanto riguarda la spesa pubblica, è riorientarla e riqualificarla, migliorando l’efficienza, efficacia ed economicità di produzione dei servizi pubblici e accrescendo gli investimenti. E’ questo il primo terreno su cui segnare una discontinuità rispetto al passato.

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