
Il segreto della battaglia in corso fra i paesi europei e Google è tutto in un numero. Mentre negli Usa il motore di ricerca inventato da Sergey Brin e da Larry Page è usato dal 65 per cento degli utenti, in Europa si arriva a oltre il 95. E’ solo un numero ma non è poco. Significa che tutti (quasi tutti) coloro che usano la rete devono passare (prima o poi) fra le maglie dei potentissimi algoritmi di Google. Significa, in altre parole, che (quasi) tutto il consumo di informazioni, di televisione, di cinema e di semplice intrattenimento (insieme con la maggior parte delle decisioni di acquisto online) è censito, vagliato e reindirizzato da Google verso alcuni siti e non altri. Lo sanno bene le nuove testate giornalistiche online che, in questo periodo di crisi del giornalismo tradizionale, nascono come funghi. Per entrare a far parte del privilegiato mondo delle pagine di “Google News” si devono passare esami severissimi legati ad un criterio che sembra oggettivo, ma che oggettivo rischia di non esserlo. Si tratta del nuovo incubo per chiunque abbia un sito web e si chiama “SEO” altrimenti detto “Search Engine Optimization”. E’ un meccanismo infernale di regole che condiziona la lunghezza dei titoli e la scelta delle parole chiave. Non avere la luce verde del SEO significa essere condannati nei gironi più bassi dei risultati delle ricerche su Google. Significa, in altre parole, essere condannati alla invisibilità.
Deve essere interpretata partendo da queste considerazioni, la notizia della chiusura di Google News in Spagna, come ritorsione del gigante di Mountain View alla nuova legge spagnola sulla proprietà intellettuale, che entrerà in vigore il 1 gennaio e che costringerebbe il colosso a pagare le aziende editoriali per l'utilizzo dei contenuti da queste prodotti, e veicolati da Google News. Si tratta di una ripicca che nasce, tutto sommato, per una manciata di spiccioli soprattutto se si potesse confrontare il potenziale esborso in Spagna con il consolidato del fatturato globale di Google, una delle aziende più ricche della terra. Quanto avrebbe potuto mai incidere l’obbligo economico imposto dal governo spagnolo? Per Google, però, in questo momento l’Europa è veramente un campo minato. Cedere su questo punto avrebbe significato creare un precedente pericoloso per il modello di business del motore di ricerca più usato in Europa. Il confronto fra Google e l’Europa sta così conoscendo punte di asprezza inedite.
A poche ore di distanza dall’annuncio della chiusura di Google News in Spagna, Sergey Brin e Larry Page hanno deciso di chiudere anche il loro ufficio tecnico in Russia. Gli uffici commerciali e marketing, invece, resteranno aperti. La società ha annunciato contestualmente di volere aumentare i suoi investimenti in Russia per il 2015 ma la chiusura dell’ufficio tecnico sembra legata a una legge approvata dal Parlamento russo e che entrerà in vigore il primo gennaio 2015: la norma dice che le società informatiche sono obbligate a conservare su server che si trovano fisicamente in Russia tutti i dati dei cittadini russi. Google, invece, non possiede server in Russia. La scelta del paese di residenza dei server di Google è stata presa sulla base di considerazioni fiscali e tecniche.
L’esistenza di norme nazionali da rispettare è insomma il nodo più intricato e anche la motivazione principale della cattiva qualità dei rapporti che Google ha con l’Europa. Ogni volta che i governi del Vecchio Continente fanno notare ai vertici dell’azienda californiana che ci sono leggi nazionali da rispettare, Google fa finta di non sentire. Era già successo a settembre. La Germania aveva chiesto a Google di rendere pubblica la formula (l'algoritmo) che fa funzionare il motore di ricerca. Tramite il loro ufficio legale i vertici di Google avevano rigettato la richiesta del governo tedesco. Il ministro della Giustizia del governo della Merkel aveva detto, fra le altre cose: “E’ noto da tempo che il mondo digitale non riconosce più le frontiere nazionali. Ma quando le aziende digitali offrono i loro servizi e prodotti a cittadini della Ue è giusto che aderiscano alle leggi europee, incluse quelle sulla protezione dei dati personali, a prescindere di dove sia la loro sede centrale”.
Adesso con la duplice decisione di cancellare i giornali spagnoli da Google News e di chiudere gli uffici tecnici in Russia, Google ha cambiato strategia. Se una legge non piace, la risposta è diventata molto più aggressiva: Google volta le spalle se ne va condannando gli “esclusi” al rischio della invisibilità sulla rete.
Secondo Maurizio Costa, presidente della Fieg, Federazione italiana editori giornali, non si può “prevedere se questa reazione avrà un effetto domino o meno”. Costa afferma “che in Italia gli editori sono disponibili a un confronto diretto che finora non è arrivato; Google si è limitato a liturgiche dichiarazioni come quella da ultimo espressa sul presunto aiuto agli editori. Editori che intanto sono impegnati in una riflessione costruttiva interna e con le istituzioni, al fine di trovare una soluzione che tuteli i loro interessi. Nessuna battaglia di retroguardia o conservatrice. Le imprese editrici di giornali quotidiani e periodici vogliono operare nella Rete, ma nel rispetto, per tutti, delle regole del libero mercato ed essere protagoniste attive della modernizzazione e di un progetto di “Digital act” per il Paese”.
Il problema ovviamente non riguarda solo l’editoria tradizionale. Anche i nuovi consumi di tv rischiano di finire nel tritacarne dei meccanismi di “censura” a suon di algoritmi di Google.
Secondo il recentissimo “JW Trends in Online Video report”, le abitudini dei telespettatori europei sono definitivamente cambiate e si sono spostate sul web. Più che negli stessi Usa. Il telespettatore medio europeo passa ogni giorno almeno 34 minuti a guardare contenuti video scaricati dalla rete. In Usa, invece, la media è più bassa. Si tratta di un trend che evidentemente non è passato inosservato negli uffici di Mountain View e che ha portato Google ha cominciare questo braccio di ferro con l’Europa. Youtube, la più importante piattaforma di consumo televisivo on line, infatti, è di proprietà di Google.
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