La vera sfida è il controllo di Internet. E quindi del mondo. Facebook, Google e Amazon sono ormai scatenati e il loro unico confine è il cielo. Non in senso metaforico. Facebook ha annunciato la nascita di una flotta di droni per portare la connettività a cinque miliardi di persone in tutto il mondo. Google, invece, sta lavorando ad una rete di palloni d’alta quota e su una rete proprietaria di fibra ottica superveloce. Amazon, più prudentemente (si fa per dire) sta sperimentando i droni attrezzati per la consegna dei pacchi direttamente al destinatario. I confini segnati sulla terra, le dogane, le leggi nazionali o, più banalmente, il traffico che congestiona le grandi città in tutto il mondo, non costituiscono un ostacolo per le ambizioni di queste quattro persone: Mark Zuckerberg, Sergey Brin, Larry Page e Jeff Bezos. Le superpotenze così sono invecchiate prematuramente. Obama, Putin e Xi Jinping, sembrano essere stati confinati nel ruolo di comprimari in uno scenario dove ormai impera un inedito “Big Brother 2.0”. I social network, i servizi di messaggeria istantanea, gli algoritmi dei motori di ricerca, e anche le offerte di musica e video in streaming (come Spotify) oppure le “app” (le centinaia di migliaia di applicazioni che controllano ogni aspetto della nostra giornata) sono le armi di un grande fratello che neanche Orwell avrebbe saputo immaginare in una forma così inquietante. Per capire dove siamo finiti, basterebbero i risultati di una piccola indagine condotta dal Censis e dall’Ucsi in Italia. Un giovane su due utilizza esclusivamente i social per sapere cose succede nel mondo. Alla faccia delle ristrutturazioni delle news della Rai e delle lotte in edicola fra i grandi quotidiani. I ragazzi hanno voltato le spalle all’informazione tradizionale e leggono solo ciò che viene consigliato da amici e conoscenti su Facebook, su Twitter o su Whatsapp. Telegiornali, talkshow, agenzie e quotidiani sono invecchiati. Anche la Rai se ne è resa conto. Dopo aver cancellato, con un gesto di orgoglio aziendale, tutti i video dei propri programmi che erano stati caricati su Youtube, ha poi cambiato idea e ha deciso di vendere i propri film sul negozio virtuale di Google (proprietario di Youtube). La verità però è che ormai il mondo che noi conosciamo non riesce più a fare a meno di questi tre grandi Golem: Google, Amazon e Facebook. La ragione è tutta in un nome misterioso che si ritrova spesso sui giornali ma di cui tutti ignorano la portata rivoluzionaria: i Big Data. Ogni minuto le nostre scelte e i nostri comportamenti sul web vanno ad alimentare un gigantesco serbatoio di informazioni che valgono oro per il mercato dei beni di consumo. Il primo che, con un nuovo algoritmo, riuscirà a controllare il flusso di queste informazioni e a cavalcare la Moby Dick dei Big Data, diventerà il vero imperatore del pianeta. Nel frattempo i cavalieri del “Big Brother 2.0” stanno lottando per occupare più spazio possibile. Sono diventati indispensabili e ne approfittano. La discussione sulla Net Neutrality che in Usa ha tenuto banco per mesi (evitare che si costruiscano autostrade a pagamento sul web per favorire gli scambi commerciali e il consumo di contenuti) è già materia dei libri di storia. Zuckerberg, Brin, Page e Bezos, hanno incassato la piccola sconfitta e sono andati oltre. Se non potranno avere una rete “Premium” per i loro clienti più ricchi, possono però darsi da fare per conquistare tutte le praterie possibili. Lo hanno detto chiaramente. La maggior parte della popolazione mondiale non è ancora connessa al web. La vera sfida, quindi, sarà la connettività totale. Da qui l’idea dei droni e dei palloni d’alta quota per portare il web nei continenti e nei deserti più lontani e difficili da raggiungere. I numeri nel frattempo, fanno impressione. “Fino a qualche anno fa Facebook era solo un’icona blu”, ha detto Zuckerberg a San Francisco in apertura della “F8”, la conferenza annuale degli sviluppatori. “Oggi siamo una famiglia di applicazioni sempre più connesse tra loro: Facebook ha 1,4 miliardi di utenti, Whatsapp 700 milioni, Messenger 600, Instagram 300”. Un “paese virtuale” con una popolazione adulta ben superiore a quella della Cina. Secondo una recente ricerca di Deloitte, si stima che attraverso i canali di marketing, degli sviluppatori di applicazioni e dei fornitori di connettività, Facebook solo nel 2014 abbia sviluppato un impatto economico positivo di 227 miliardi di dollari (la recente finanziaria di Renzi ammontava a 36 miliardi di Euro) contribuendo a creare più di 4 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro in tutto il mondo. Negli Usa, ovviamente, c’è la maggiore ricaduta economica, 100 miliardi. Nel nostro Paese, solo nel 2014, il social network si calcola che abbia generato un impatto economico pari a 6 miliardi di dollari e abbia contribuito a creare molti posti di lavoro. Soprattutto nelle piccole e medie imprese. Sono i numeri di un impero. Economico, innanzi tutto, che però sta per conquistare definitivamente anche il mondo dei media. La storia sembra piccola di fronte allo scenario mondiale ma è emblematica. L’industria dei media si sta consegnando, gratuitamente, al mondo dei social. Facebook infatti sta per stringere un accordo con alcuni importanti gruppi editoriali. New York Times, BuzzFeed e National Geographic, sono fra i primi, ma anche il britannico The Guardian sta partecipando, in gran segreto, a trattative simili. Gli utenti di Facebook non saranno più costretti a cliccare sui link del giornale per leggere un articolo ma potranno farlo direttamente dal proprio account. Sembra una scelta disperata, da parte dei grandi editori che hanno deciso di varcare questa soglia. “Per giornali e agenzie di stampa niente ha lo stesso potere di attrazione di Facebook. E niente li rende più nervosi”, hanno scritto Ravi Somaiya, Mike Isaac e Vindu Goel sulle pagine del New York Times in un lunghissimo articolo pubblicato allo scopo di cercare di trovare una logica nella scelta di “regalare” le proprie notizie a Facebook. “Con 1,4 miliardi di utenti, Facebook è diventato una fonte vitale di traffico per gli editori che cercano ogni giorno di raggiungere un pubblico sempre più frammentato e incollato agli smartphone”, hanno spiegato. Secondo i reporter del NYT, negli ultimi mesi, Facebook sta trattando accordi simili con almeno una mezza dozzina di editori in tutto il mondo. Le previsioni, però, sono pessimistiche e il mondo del giornalismo americano è già in subbuglio. “Facebook sta per diventare il barone delle news”, ha scritto Robinson Meyer su The Atlantic. Un accordo di questo tipo “trasformerebbe le società dei media in servi della gleba in un regno che è posseduto da Facebook”, aveva profetizzato a ottobre David Carr, un giornalista che lavora proprio nel New York Times. I motivi che spingono gli editori verso questo passo, come si stanno affannando a spiegare gli analisti in tutto il mondo, sono da ricercare in una manciata di secondi. Sarebbero troppo lunghi i circa 8 secondi che sono necessari ad un utente Facebook per passare sul sito del giornale allo scopo di leggere una notizia di cui ha trovato il link sul proprio account. Sembra un paradosso in una società dove le persone perdono ore nel traffico per strada o in attesa dei mezzi pubblici. Secondo le più approfondite ricerche del marketing quei miseri 8 secondi sono in grado di condizionare negativamente gli accessi ai siti dei giornali. Resta da capire cosa ci guadagneranno i media a rinunciare al traffico sulle proprie pagine sul web. I vertici di Facebook, per il momento, a parte alcune vaghe promesse sulla condivisione degli utili, non sono ancora entrati nei dettagli. Negli uffici marketing dei giornali, però, sono già in molti a stracciarsi le vesti. Tutte le informazioni (i Big Data) sulla composizione e le abitudini del pubblico dei lettori, in questo modo, rimarrebbero nella cassaforte di Facebook con una perdita irreversibile di capacità strategica. Non solo. Secondo Robinson Meyer di The Atlantic, lo scenario potrebbe essere ancora più inquietante. Una volta che i giornali si saranno consegnati in ostaggio, Facebook diventerà più potente del “Grande fratello” immaginato da Orwell. Sarà il detentore del rubinetto attraverso il quale passerà gran parte l’informazione globale ufficiale e professionale. Un problema non secondario per la libertà di stampa e che è già di stringente attualità, anche senza aspettare il verificarsi di scenari distopici. "Stiamo parlando del futuro", ha detto Zuckerberg a San Francisco alla “F8”. Già, ma di quale futuro stiamo parlando?
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