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Amministrazioni locali, luci e ombre di un anno di governo Renzi

20/02/2015
Su 16,6 miliardi di tagli di spesa, nella legge di stabilità ben 8,1 (il 49% del totale) sono a carico di comuni, province e regioni, senza contare il taglio di 1 miliardo delle risorse per il piano azione coesione. Senza dubbio positivo è invece l’intervento di riduzione degli obiettivi del patto interno di stabilità, che vale 2,9 miliardi di euro di spazi di spesa in più per comuni, province e città metropolitane a partire dal 2015. Se si considera anche la conferma del patto verticale incentivato (che vale 1 miliardo), l’abbattimento degli obiettivi arriva a circa l’85 per cento in media.

È difficile dare un giudizio univoco sulle scelte del governo Renzi in materia di finanza locale. Il combinato disposto dei provvedimenti adottati da febbraio 2014 ad oggi è fatto di luci importanti ma anche di non poche ombre. Una prima criticità è la ripartizione della manovra di bilancio tra i settori dell’amministrazione pubblica. La Legge di stabilità “vale” per il 2015 circa 34 miliardi di euro, di cui 21,3 miliardi sono utilizzati per ridurre le entrate (contabilizzando tra queste anche il bonus Irpef 80 euro) e 12,7 miliardi vanno in maggiori spese. L’onere di questa manovra – moderatamente espansiva rispetto al quadro a legislazione vigente - è finanziato con maggiori entrate (11,6 miliardi), deficit aggiuntivo (5,8 miliardi) e tagli di spesa (16,6 miliardi). Di questi ultimi, ben 8,1 miliardi (il 49% del totale) sono a carico di comuni, province e regioni, senza contare il taglio di 1 miliardo delle risorse per il piano azione coesione. E’ una quota decisamente superiore al peso delle amministrazioni locali sul totale della spesa pubblica (29%) e del debito (6,6%). Un comparto peraltro in pareggio di bilancio dal 2012. Le riduzioni di spesa caricate sulle amministrazioni locali – tanto per fare un confronto – sono quattro volte il taglio a carico dei ministeri (2 miliardi nel 2015). Il contributo maggiore è quello a carico delle regioni (4 miliardi), mentre 1,2 miliardi è il taglio del fondo di solidarietà comunale e 1 miliardo (che salirà a 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi dal 2017) è il contributo richiesto alle province e città metropolitane. Questi tagli si sommano a quelli decisi con il DL 66/2014 per finanziare il bonus di 80 euro. Sugli enti locali pesa anche l’avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, previsto dall’armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa 1,9 miliardi annui a partire dal 2015 e rientra nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità.

La seconda nota dolente è la manovra sulle province. Il taglio deciso dalla legge di stabilità (che si aggiunge ai tagli del DL 66/2014) rischia di fare saltare per aria l’attuazione della riforma Delrio. Il governo nel corso della discussione parlamentare ha tentato di porvi rimedio, intervenendo per accelerare il processo di riallocazione delle funzioni e del personale: dal 1° gennaio 2015 la pianta organica di province e città metropolitane sarà tagliata di 20 mila unità, mentre entro il 30 marzo sarà individuato il personale da destinare alla mobilità. Questo processo dovrebbe concludersi entro fine 2016. Il personale non ricollocato entro tale data verrà messo a disposizione, ricevendo per due anni un’indennità pari all’80 per cento dello stipendio. Ma i nodi ancora da sciogliere in questa difficile transizione sono tanti, a partire dalla scarsa volontà delle regioni (a loro volta soggette a rilevanti tagli di risorse) di collaborare per un’ordinata e celere attuazione della riforma Delrio.

Passando alle luci, senza dubbio positivo è l’intervento di riduzione degli obiettivi del patto interno di stabilità, che vale 2,9 miliardi di euro di spazi di spesa in più per comuni, province e città metropolitane a partire dal 2015. Se consideriamo anche la conferma del patto verticale incentivato (che vale 1 miliardo), l’abbattimento degli obiettivi arriva a circa l’85 per cento in media. E’ un passo decisivo verso il definitivo superamento del patto e la sua sostituzione con la golden rule (pareggio di bilancio + vincolo sul debito) previsto per il 2016 dalla legge 243/2012.
Vanno letti con favore l’utilizzo anche dei fabbisogni standard per la ripartizione del taglio di risorse agli enti locali, l’aumento dal 10 al 20 per cento della quota del fondo di solidarietà comunale ripartito secondo la differenza tra capacità fiscale standard e fabbisogni standard, nonché l’avvio dell’armonizzazione contabile (che permetterà di “fare pulizia” nei bilanci degli enti locali), con un processo reso opportunamente più graduale rispetto alle ipotesi iniziali sia per quanto riguarda il fondo crediti di dubbia esigibilità che per l’assorbimento dei disavanzi derivanti dal riaccertamento straordinario dei residui. Tutte queste misure favoriranno gli enti locali virtuosi sia dal punto di vista del livello della spesa storica che sotto il profilo del grado di veridicità dei bilanci. Sono scelte positive anche l’aumento dall’8 al 10 per cento del limite di indebitamento previsto per gli enti locali e il contributo in conto interessi previsto per le operazioni di indebitamento attivate nel 2015 da regioni ed enti locali, interventi che insieme all’allentamento del patto favoriranno una ripresa degli investimenti degli enti territoriali, ridottisi di oltre il 26 per cento dal 2009 al 2013.

I fondi statali destinati ad interventi di carattere sociale sono stati rifinanziati e stabilizzati. Particolarmente importanti, per gli enti locali, sono le risorse aggiuntive stanziate per il fondo non autosufficienti (400 milioni nel 2015 e 250 milioni dal 2016) e per il fondo nazionale politiche sociali (300 milioni dal 2015).

La legge di stabilità risolve un annoso problema che ricadeva sui comuni, stabilendo a partire dal 1° settembre 2015 il trasferimento dai comuni al Ministero della giustizia delle spese obbligatorie per il funzionamento degli uffici giudiziari.

Il giudizio rimane sospeso, infine, su tre punti.
Il primo è il processo di riorganizzazione e razionalizzazione delle società controllate o partecipate. Una recente analisi ISTAT ha individuato ben 5.160 società attive partecipate da regioni o altre amministrazioni locali, con quasi 441 mila addetti. Molte di queste realtà sono in perdita o non hanno dipendenti o hanno consigli di amministrazione più numerosi degli addetti. I principi di riorganizzazione stabiliti nella manovra sono sicuramente condivisibili. Mancano però sanzioni efficaci per gli enti inadempienti rispetto a quanto previsto. Una lacuna non da poco, visti i precedenti.

Il secondo punto è il riordino della fiscalità comunale. La nuova local tax viene rinviata al 2016. E’ una scelta saggia, visti i vorticosi (e contradditori) cambiamenti che hanno stressato la finanza comunale nel triennio 2012-2014. Un anno di tregua normativa permetterà scelte più meditate e meglio condivise con i comuni. La proroga del blocco delle aliquote TASI è invece un’arma a doppio taglio.
E’ sicuramente utile ad impedire un aumento indiscriminato del carico tributario, ma poiché nel 2015 non è previsto il contributo di 625 milioni per gli enti con spazi fiscali ridotti, ciò comporterà notevoli difficoltà per parecchie centinaia di comuni. Il governo si è impegnato a porre rimedio, ci attiveremo in Parlamento affinché agli impegni seguano i fatti. Ciò vale anche per la controversa vicenda dell’IMU sui terreni agricoli, che solo nella nuova local tax potrà trovare una sistemazione accettabile.

Il terzo è la spending review. L’allora commissario Cottarelli aveva delineato un progetto molto ambizioso di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica, che a regime valeva ben 32 miliardi. Quel disegno, avviato con molte (forse troppe) ambizioni, si è fermato a metà strada. E il grosso dei tagli di spesa sono stati caricati alla vecchia maniera sulle amministrazioni locali.

Nel complesso, siamo in presenza di un insieme di scelte da valutare in modo articolato. Molte decisioni segnano finalmente una discontinuità con il passato, a partire dal rilevante allentamento del patto interno di stabilità, dalle misure di rilancio degli investimenti degli enti locali, dal rifinanziamento dei fondi sociali. Altre misure intervengono su alcuni processi di riforma, dalla legge Delrio all’armonizzazione contabile. Gli esiti andranno monitorati con grande attenzione, con particolare riferimento alle province e alle città metropolitane. La ripartizione dei carichi della manovra riproduce invece l’approccio seguito negli anni del risanamento a tappe forzate.

Saranno i prossimi mesi a dirci se i segnali di svolta prevarranno sulle logiche del passato.

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