I dati sull’occupazione diffusi dall’Istat mostrano il segno più, con un aumento, specificatamente, dello 0,5 per cento rispetto al mese precedente, pari a 114.000 nuovi posti di lavoro. Il tasso di occupazione si attesta così al 58,8 per cento. La crescita coinvolge gli uomini, che aumentano di 80.000 unità e le donne di 35.000. Per quanto riguarda, invece, le fasce d’età sono sempre gli ultracinquantenni a fare la parte del leone con un più 98.000 posti di lavoro in più. Mentre la fascia giovanile, tra i 25 e i 34 anni aumenta di 31.000. Su base trimestrale si conferma un netto dominio dei lavori cosiddetti precari tra contratti a termine e indipendenti: rispettivamente più 105.000 e più 70.000, mentre i contratti permanenti aumentano di appena 38.000 unità.
Stando a questi dati e auspicando che comunque questa tendenza possa proseguire, magari migliorando la parte stabile dei contratti, bisogna capire come e quanto questi livelli occupazionali garantiranno un equilibrio della spesa previdenziale. Stando anche alle dichiarazioni dei principali attori del governo in carico rispetto alla necessità di un rapido cambiamento o superamento della Legge Fornero. Su questo punto, l’Ufficio parlamentar di Bilancio ha diffuso un Focus in cui metteva in guardia dai rischi per il nostro sistema previdenziale di imminenti cambiamenti di sistema. Lo studio si basa su tre analisi distinte: una della Ragioneria Generale dello Stato, una dell’esercizio europeo (AWG) e una del Fondo monetario internazionale (Fmi). Nella nota diffusa si precisa che sulle ipotesi economiche le tre analisi differiscono “principalmente per quanto riguarda il tasso di occupazione e la dinamica della produttività. In questo campo le ipotesi più ottimistiche sono quelle nell’esercizio nazionale che vede il tasso di occupazione superare il 66 per cento a partire dal 2040 e il tasso di crescita della produttività permanere sopra l’1,5 per cento successivamente al 2025. Le più pessimistiche sono quelle del FMI secondo il quale il tasso di occupazione rimane stabilmente al di sotto del 60 per cento e la crescita della produttività si stabilizza nel lungo periodo all’1,3 per cento”.
La nota di accompagnamento dell’Upb specifica, inoltre che: “livelli più alti dell’incidenza della spesa per pensioni sul PIL nell’esercizio AWG e in quello del FMI non derivano dunque da riflessi delle riforme pensionistiche passate – che al contrario miravano a migliorarne la sostenibilità – ma piuttosto da una maggiore persistenza degli effetti della crisi macroeconomica in termini di bassa produttività e da un peggioramento del quadro demografico riconducibile ai minori flussi migratori netti”.
Insomma, chiudere i porti non è poi una mossa così azzeccata, soprattutto se si vuole superare la legge Fornero.
Qui sotto i dati dell’Istat sull’occupazione e il Focus diffuso dall’Ufficio parlamentare di bilancio.
N.D.D.
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