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Origine certificata, imballaggi, misure sanitarie: i rischi e le opportunità per l'Italia dell'agroalimentare nel trattato commerciale Usa-Ue.

25/07/2014
Il riconoscimento negli Usa di Dop e Igp europei, e i diversi requisiti per etichettatura e imballaggio dei prodotti sono gli scogli più importanti. Secondo le organizzazioni europee del settore, "i tre quarti dei guadagni derivanti da un accordo commerciale con gli USA è legata all'eliminazione delle barriere commerciali non tariffarie".

Il negoziato per un trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, noto come TTIP, è cominciato da poco più un anno, ha superato il sesto round di colloqui e procede molto lentamente. Anche se il mercato americano e quello europeo sono già molto integrati dal punto di vista delle tariffe e condividono un nucleo comune di principi, un'intesa non è facile da trovare.

Il settore agroalimentare è un esempio di questa difficoltà, come anche dell'opportunità rappresentata da un eventuale accordo. Ci sono fattori di frizione commerciale che in qualche modo sono storici, come il rifiuto del riconoscimento da parte americana delle specificità dei prodotti a indicazione geografica europei (le nostre DOP e IGP), questione di rilevanza cruciale per le imprese italiane. Al di là dei grandi temi, però, anche problemi che sembrano meno ingombranti, come le barriere sanitarie e fitosanitarie, hanno in realtà un peso molto rilevante in termini di competitività per le nostre aziende sui mercati extra-UE. "Senza un accordo comprensivo sui temi agricoli – ha scandito il Segretario di Stato all'agricoltura Tom Vilsack nella sua visita alle istituzioni europee – è difficile che Congresso americano e istituzioni europee approvino il TTIP". Ognuna delle parti vuole mantenere le sue prerogative sui principi, ma al tempo stesso è consapevole della portata che il TTIP potrebbe avere in termini geoeconomici. L'ambizione è dare nuovo slancio all'asse commerciale Usa-Ue, il cui primato negli scambi nel settore agroalimentare viene sempre di più eroso da nuove economie emergenti come la Cina e il Brasile.

A complicare il quadro del negoziato ci sono i tempi, con i prossimi cinque mesi che potrebbero essere decisivi. Si vedrà quale impulso la nuova Commissione UE vuole dare al negoziato e quanto impegno ci sarà da parte americana prima di entrare nell'ultimo anno di Barack Obama alla Casa Bianca.

Settore tradizionalmente protetto e poco propenso alle liberalizzazioni, soprattutto nella componente agricola, l'agroalimentare europeo guarda con interesse al TTIP. Il settore negli ultimi anni ha rafforzato la sua propensione alle esportazioni, raggiungendo la cifra record di 120 miliardi di euro a valore. Messe al riparo alcune produzioni come la carne, l'Europa dell'agroalimentare va al negoziato forte del fatto che gli Stati Uniti sono il primo mercato per le esportazioni di prodotti agroalimentari finiti e il secondo per le materie prime.In particolare, la domanda americana premia i prodotti di qualità. Circa il 70% delle esportazioni agricole UE oltreoceano è composto da prodotti lavorati come il formaggio, il vino, le carni trasformate. La bilancia commerciale nel settore pende sempre di più a favore dell'Europa, con l'export che nel 2012 ha raggiunto la cifra record di 15 miliardi di euro e un surplus di 6,8 miliardi.

Nonostante i mercati siano già molto integrati e i dazi piuttosto bassi, ci sono alcune vistose eccezioni. Qualche esempio: le aziende italiane che esportano paste alimentari per la prima volta negli USA sono soggette a dazio (dal 15,45 al 19,3%), l'esportazione di formaggi da latte vaccino è regolata da quote, superate le quali scatta il dazio per l'importatore americano.

Potenzialmente ancora più insidiosa per il negoziato è la parte sulle misure sanitarie e fitosanitarie, le cosiddette SPS, sulla quale le parti dovrebbero scambiare le rispettive offerte nei prossimi mesi. Gli Stati Uniti e l'Unione europea hanno aderito allo stesso insieme di principi nell'accordo in materia previsto dal WTO negli anni Novanta del Novecento, ma resta il fatto che la maggior parte delle controversie legate al settore agricolo tra le due giurisdizioni abbia come oggetto proprio le misure SPS. Diversi esempi li troviamo nei prodotti a base di carne.

Gli Stati Uniti applicano ancora oggi limitazioni più stringenti rispetto agli standard OIE (Organizzazione mondiale per la salute animale) per l'importazione di prodotti a base di carne bovina, per motivi connessi all'encefalopatia spongiforme bovina, ovvero il morbo della mucca pazza. L'impegno di Washington ad allinearsi agli standard internazionali in materia, nonostante sia stato annunciato più volte, tarda a trovare applicazione compiuta.

Sempre per motivi di salute animale, l'USDA (Dipartimento Usa per l'agricoltura) consente attualmente l'importazione dall'Italia di carni suine senza vincoli di stagionatura solo da alcune regioni della Penisola, quelle considerate dall'APHIS (Animal and Plant Health Inspection, l'autorità veterinaria e fitosanitaria americana) immuni dalla malattia vescicolare del suino.

Ci sono inoltre i requisiti in materia di etichettatura e di imballaggio, con un elenco di "colli di bottiglia" che è lungo e riguarda tutti i comparti, dal lattiero caseario all'olio d'oliva e al vino. Tanto che, secondo l'analisi dell'organizzazione di categoria Copa-Cogeca, per l'agricoltura europea "i tre quarti dei guadagni derivanti da un accordo commerciale con gli USA è legata all'eliminazione delle barriere commerciali non tariffarie".

Piccoli passi su questo versante potrebbero far decantare le grandi questioni, da affrontare alla fine dei colloqui. Su tutte, la più rilevante per l'agroalimentare italiano è il tema del riconoscimento da parte USA del sistema delle DOP e delle IGP europeo, tuttora elemento divisivo, se non di scontro, tra le due parti dell'Atlantico. La polemica sulle denominazioni a indicazione geografica è di lungo corso ed è tanto difficile quanto importante da superare perché va alla radice stessa del fenomeno dell'"Italian sounding". Se i prodotti alimentari italiani risultano tra i più imitati al mondo, infatti, lo si deve anche agli emigranti italiani che, soprattutto negli Usa, hanno replicato i processi produttivi, o spesso solo il nome, delle nostre eccellenze. Sbrogliare questa complicata matassa, fatta di storie di emigrazione, diversi concetti di impresa e di proprietà intellettuale e del ruolo dello Stato nell'economia risulta particolarmente arduo.

Da questo punto di vista l'accordo commerciale siglato tra UE e Canada è un segnale di discontinuità. Il Canada è stato sempre parte del blocco di paesi che, in seno al WTO, si è opposto al sistema europeo delle DOP e delle IGP. Ma nell'accordo firmato con l'UE alla fine del 2013 (che attende ancora di essere definito nei dettagli e di essere ratificato) Ottawa ha cambiato posizione aprendo le porte a una lista di prodotti a indicazione geografica italiani ed europei. Nessun accordo commerciale è uguale agli altri, ma quello con il Canada è un precedente importante per il futuro.

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