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Mobilità e riqualificazione del patrimonio urbano, per mettere l'Italia in linea con l'Europa sulla vivibilità delle città.

30/07/2014
L'Istat ha pubblicato il rapporto sulla qualità urbana e ambientale delle nostre città rilevando rispetto al 2012 alcuni significati e positivi cambiamenti: è migliorata la qualità dell'aria, è diminuito il tasso di motorizzazione nelle grandi città, è aumentato l'uso della bici e, assieme alla creazione degli orti urbani, è cresciuto il numero di metri quadrati di verde pro capite.

Anche quest'anno l'Istat ha pubblicato il rapporto sulla qualità urbana e ambientale delle nostre città rilevando rispetto al 2012 alcuni significati e positivi cambiamenti: è migliorata la qualità dell'aria, è diminuito il tasso di motorizzazione nelle grandi città, è aumentato l'uso della bici e, assieme alla creazione degli orti urbani, è cresciuto il numero di metri quadrati di verde pro capite. Dati positivi che evidenziano come, soprattutto nelle città del Nord, siano state avviate iniziative di mobilità sostenibile (car sharing, bike sharing, pedonalizzazioni, ecc.) che stanno migliorando il trasporto pubblico urbano. Qualcosa si muove quindi, ma è presto per parlare di inversione di tendenza. Sopratutto se, al di là delle singole voci, si valuta la qualità urbana nel suo complesso, o se si considera il punto di partenza delle nostre città rispetto al più generale contesto europeo: un contesto rispetto al quale l'Italia si trova in notevole ritardo nell'applicazione di direttive fondamentali, da tempo emanate e la cui attuazione richiederà all'azione di governo locale di muoversi in tempi rapidi, con strumenti e risorse adeguati e in una ottica strategica di pianificazione urbana.                                                                                                                                                                                

Ciò significherà assumere appieno la convinzione che il tema della “mobilità” (sia urbana che territoriale) ricopre un ruolo fondamentale nello sviluppo del Paese, nella qualità della vita e nel funzionamento sociale ed economico delle città: ma in Italia, senza distinzione di latitudine, la carenza e la sottovalutazione che hanno caratterizzato il tema "infrastrutture di trasporto e mobilità" è purtroppo comune a tutte le città, grandi e piccole, del Nord e del Sud.

Questo è anche il risultato di anni di politica urbanistica che ha sempre affrontato in modo separato il tema infrastrutture e mobilità da quello più generale delle previsioni insediative, sia in termini di progetto che di gestione.

Separati sono gli strumenti, separate le deleghe in capo agli amministratori pubblici. Oppure, laddove coesistevano le previsioni, sono stati poi del tutto trascurati i tempi diversi delle realizzazioni oltremodo sfasati tra la costruzione di residenze, industrie, attrezzature e quelle delle infrastrutture di servizio alle stesse.

Paradossalmente gli unici casi di previsione integrata che favoriscono l’accessibilità e il funzionamento del rapporto infrastrutture e attrezzature la riscontriamo nella costruzione delle cosiddette “città di non luoghi” e cioè le centinaia di ipermercati, centri commerciali, outlet ecc., localizzati subito fuori dalle città lungo le arterie di grande traffico, superstrade e autostrade Operazioni che per fortuna si stanno arrestando per lasciare spazio nuovamente all’accessibilità agli acquisti all'interno dei centri urbani, favorendo quegli acquisti di vicinato che riportano vitalità alla città e ai residenti, riducendo l' uso obbligato dell'auto e delle sue conseguenze (congestione, inquinamento,...). Ma per affrontare correttamente il tema della mobilita sarebbe necessario inquadrarla correttamente all'interno di una valutazione attenta e complessiva di "quali città moderne" abbiamo costruito, di quanto è stato prodotto negli ultimi decenni nell’innovazione delle reti materiali e immateriali delle città o nei processi di riqualificazione ambientale e urbana in chiave ecosostenibile, così come altri paesi europei da tempo stanno praticando.

Di fatto nelle nostre città si è costruito troppo e con una scarsa qualità progettuale anche laddove venivano realizzati in modo conforme i piani regolatori, che dichiaravano negli obiettivi di garantire la realizzazione di una città moderna e competitiva, dotata di servizi e attrezzature, di una mobilità efficiente capace di collegare tra loro quartieri periferici ricchi di urbanità e socialità.

La realtà purtroppo ci apre scenari ben diversi.

Le nostre città moderne, cresciute sotto la spinta prevalente della rendita, hanno troppo spesso ignorato il valore sociale ed economico sia del patrimonio storico e culturale esistente che del territorio e del paesaggio agrario da urbanizzare. La mancata attenzione al corretto rapporto tra città storica e città nuova, così come l’assenza nelle nuove edificazioni di una adeguata contestualizzazione progettuale, ha di fatto compromesso la possibilità di creare nuove identità urbane capaci di confrontarsi, in termini di qualità e valore ambientale, con le città e il patrimonio preesistente.

Ed è evidente che proprio lo stato di collasso e congestione in cui si trovano da un lato le ricche città industriali del Nord prive della indispensabile competitività urbana e dall'altro lo stato di abbandono e incuria in cui si trova il ricco patrimonio culturale e ambientale di tanti piccoli e grandi centri del Meridione privi della necessaria attrattività, ci penalizza ancora di più nei confronti dell’attuale crisi globale.

È stato cioè sottovalutato per troppo tempo che il “territorio” è sempre e comunque al centro delle politiche di sviluppo di un Paese, svolgendo un ruolo di primaria importanza nel poter conseguire o meno, attraverso le scelte e non scelte, obiettivi e traguardi positivi e duraturi di reale crescita economica e sociale.

È evidente che devono cambiare politiche regole e strumenti, sia a livello nazionale che locale: in ciò la crisi può rappresentare un’occasione capace di mettere finalmente su obiettivi condivisi di sviluppo reale e sostenibile sia gli interessi dei cittadini che degli attori economici e sociali del Paese.

Innanzitutto si impone una forte innovazione nella pratica di governo locale che sappia impostare un progetto di città coniugando nel medio e lungo periodo politiche e azioni integrate finalizzate da un lato a migliorare la qualità urbana e a favorire uno sviluppo locale basato sulla riduzione di consumi di risorse finite quali il territorio e l’energia; dall’altro finalizzate alla realizzazione di adeguate strutture e infrastrutture che rendano effettivamente competitive attrattive e moderne sotto il profilo economico sociale e culturale le nostre città.

Sempre di più oggi la città coincide con la società intera e qualsiasi intervento di carattere urbanistico si riflette direttamente o indirettamente sul piano sociale ed economico delle realtà territoriali accrescendone o riducendone le opportunità e il potenziale, secondo una connessione che raramente le politiche e i piani urbanistici hanno saputo interpretare e realizzare. Ciò implica che l’attività di governo sia basata tra una forte integrazione tra le politiche di welfare (casa, coesione...), le politiche ambientali (disinquinamento, difesa idrogeologica, risparmio energetico..), le politiche economiche e le politiche territoriali, dalla mobilità alla logistica. Troppo spesso l’azione di governo locale si è sviluppata per comparti stagni senza valutare a priori e monitorare a posteriori le inevitabili interconnessioni tra le politiche e azioni diverse.

Lo sviluppo locale è sempre di più il frutto dell’azione sinergica di più attori: privati, pubblici, sociale, economici, culturali ecc., che devono reciprocamente autocondizionarsi per adottare una strategia comune, efficace al conseguimento degli obiettivi di sviluppo. Si afferma così la necessità di dotarsi di uno strumento di governance basato su un “nuovo modello di processo decisionale” che superi l’attuale concezione che attribuisce (responsabilizzandola), alla sola amministrazione pubblica il perseguimento dello sviluppo locale. Ciò impone l’assunzione da parte pubblica di una nuova cultura di governo basata su una forte partecipazione comunitaria e una capacità relazionale capace di instaurare la prassi di visioni di sviluppo condivise ed una conseguente concertazione delle azioni con le diverse realtà che operano e investono sul territorio.

Da tempo è in uso in diverse realtà europee ed italiane, a volte con successo ma il più delle volte rimasto come strumento di mera documentazione tecnica, il Piano Strategico, strumento che può rispondere a queste esigenze. In realtà il limite delle tante esperienze sta però nella tipologia assunta, con le caratteristiche di un piano affidato a consulenti esterni o comunque elaborato sulle esigenze di immagine e di costruzione del consenso del Sindaco. È invece necessario realizzare una operazione di piano che possiamo definire il piano della città, non elaborato a tavolino da consulenti, né prodotto dai soli decisori economici, né basato su forme populistiche di partecipazione. Ciò che occorre è una reale partecipazione e condivisione di tutti gli attori pubblici e privati, responsabilizzati sulla consapevolezza che solo lo sviluppo dell’intera comunità può garantire lo sviluppo individuale.

Ciò potrà consentire di aprire per gli enti locali una nuova fase di governo basata su una nuovo modello di sviluppo urbano che possiamo definire di “rigenerazione urbana della città” basata su:

a)   operazioni di riqualificazione e ristrutturazione urbana di un patrimonio edilizio molto spesso fatiscente e non più funzionale (edilizia pubblica e privata anni ’50 e ’60, scuole...) contestualmente intervenendo sul risparmio energetico;

b)   valorizzare il ruolo ambientale e funzionale dei centri storici piccoli e grandi con piani di recupero e della mobilità rispettosi delle loro caratteristiche morfologiche;

c)    innalzare il livello di competitività delle città provvedendo a una indispensabile dotazione di reti strutturali e infrastrutturali di comunicazione e mobilità.

D’altra parte questi sono gli stessi principi che troviamo nelle linee guide europee per i Piani della mobilità sostenibile o nel progetto MUSA oggi in discussione in diversi centri delle regioni del sud: integrazione, condivione, sostenibilità passando inevitabilmente per un processo di formazione (politici, tecnici, operatori) per creare una comune cultura dello sviluppo.

L’Europa da tempo ha prestato attenzione al tema della mobilità urbana sostenibile (SUTP - PUMS), piani che hanno trovato forma nella legislazione italiana fin dal 2001.

Piani che pure alla luce di linee guida fanno fatica a trovare attuazione anche se corredati da un apposito portale europeo sulle best practices e con agevolazioni finanziarie per la loro realizzazione.

D’altra parte i dati sull’incremento della mobilità urbana elaborati a livello europeo sono preoccupanti e riconosciuti: la percentuale della popolazione che vive nelle aree urbane passerà dall’attuale 74% all’85% nel 2050 provocando un ulteriore incremento di mobilità e di congestione; così come sono chiari e preoccupanti i dati relativi ai costi crescenti dell’uso dell’auto (caro petrolio, tassazione, ...) e ai costi ambientali e sociali (consumi, emissioni, incidentalità...).

Tutto ciò motiva il perché la maggior parte delle aree urbane europee sta affrontando una serie di problematiche comuni legate alla mobilità: mobilità intesa come una delle componenti più importanti per assicurare alle persone libertà di movimento e una buona qualità della vita.

 

Credo sia giusto ridurlo

 

 

 

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