Il Nens ha avviato un lavoro di approfondimento, studio e confronto per dare un contributo alla definizione della posizione italiana durante i prossimi negoziati europei sugli obiettivi della politica energetica e climatica per il 2030, nei quali si potrà approfittare anche delle possibilità di influenzare il processo decisionale offerte dal semestre di presidenza italiano del Consiglio europeo. Il primo incontro di lavoro si è svolto giovedì 10 luglio con il coordinamento di Pier Luigi Bersani e la partecipazione di numerosi esperti, manager, docenti impegnati in questi settori.
La relazione introduttiva, è stata svolta da Luigi De Paoli, professore ordinario di Economia dell'energia e di economia dell'ambiente alla Bocconi. De Paoli ha dato atto alla Commissione europea di aver lavorato bene negli ultimi mesi e di essere pervenuta a una proposta equilibrata, attenta cioè da un lato ai problemi di competitività dell’economia europea e dall’altro a indicare percorsi differenziati per i tre obiettivi chiave che l’UE si è data finora: la riduzione delle emissioni di gas serra (GES), lo sviluppo delle energie rinnovabili (FER) e la promozione dell’efficienza energetica.
Come è noto, la Commissione uscente ha proposto per il 2030 un obiettivo di riduzione del 40% delle emissioni di gas serra con carattere vincolante sia per l’UE che per gli Stati membri, un traguardo del 27% per il contributo delle energie rinnovabili con carattere vincolante solo per l’insieme dell’UE e non ha indicato un obiettivo quantitativo per il risparmio energetico proponendo piuttosto l’adozione di misure specifiche che incoraggino l’efficienza energetica. La Commissione ha anche suggerito l’adozione di un nuovo modello di governance della politica clima-energia basato sulla definizione degli obiettivi generali da parte dell’UE e sulla declinazione nazionale di tali indirizzi con un confronto conclusivo sulla coerenza tra linee nazionali e obiettivi comunitari e una periodica verifica dei risultati a livello comunitario.
Dato atto dell’accettabilità del disegno complessivo, nella relazione sono stati avanzati alcuni suggerimenti per cercare di rendere più efficaci gli interventi a cominciare dalla lotta ai cambiamenti climatici.
L’Ue pesa ormai solo per circa il 10% sulle emissioni mondiali di GES: fissare un obiettivo di riduzione maggiore o minore del 10% per l’UE significa modificare le emissioni mondiali dell’1%. Perciò è del tutto evidente che l’UE non può condurre una battaglia solitaria. Per ridurre effettivamente le emissioni ci vuole un impegno comune di cui si discute da tempo senza arrivare a risultati concreti. D’altra parte bisogna riconoscere che le emissioni di cui ogni paese è responsabile non sono tanto quelle dovute alla sua produzione, ma quelle dovute ai suoi consumi. I prodotti importati dalla Cina causano emissioni contabilizzate a carico della Cina, ma in realtà la responsabilità è di chi li acquista, non di chi li produce. Il commercio internazionale, nel suo tumultuoso sviluppo, sta perciò rimescolando le carte delle emissioni, ma con un effetto distorsivo: le tecnologie utilizzate nei diversi paesi dipendono anche dalle politiche di lotta ai cambiamenti climatici che si conducono. Una tonnellata di acciaio prodotta in Cina fa emettere molto più CO2 di una tonnellata prodotta in Europa semplicemente perché in Cina non ci sono le medesime limitazioni alle emissioni di CO2 che ci sono in Europa. Questo fatto tende anche ad alterare la competitività internazionale delle imprese perché cercare di limitare le emissioni costa. Al fine di spingere tutti i paesi ad impegnarsi nella lotta contro i cambiamenti climatici e nello stesso tempo per eliminare una delle distorsioni nel commercio internazionale, nella relazione introduttiva è stata avanzata la proposta che l’Italia spinga l’UE ad adottare i cosiddetti BTA (Border Tax Adjustments), cioè a introdurre dazi sulle importazioni dai paesi con politiche meno restrittive di quelle europee sulle emissioni di CO2 o dei GES in generale.
Questa soluzione è stata proposta e discussa da molto tempo dagli economisti. Essa è stata anche esaminata sotto il profilo giuridico per quanto riguarda la sua compatibilità con le regole dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). I pareri espressi non sono univoci, ma ormai propendono in netta maggioranza per la compatibilità. Dal punto di vista politico l’introduzione unilaterale dei BTA è già arrivata allo stadio di proposta di legge nel 2009 negli USA con il Waxman-Markey Bill che però non è stato approvato ed era già stata avanzata anche in Europa dalla Francia. La soluzione non è dunque priva di difficoltà sia tecniche che giuridiche, ma presenta indubbi vantaggi sia per accrescere l’efficacia della lotta ai cambiamenti climatici sia per la difesa della competitività industriale dei paesi più virtuosi. La nostra proposta è che l’Europa faccia propria questa soluzione e la inserisca anche nelle trattative commerciali in corso con gli USA (TTIP) in modo che diventi una proposta condivisa. Adottando decisamente questa linea politica, l’UE dovrebbe mettere allo studio le soluzioni operative per la sua applicazione e usare questa soluzione come strumento di pressione per un accordo sulla limitazione delle emissioni di gas serra alla conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP) che si terrà a Parigi ne 2015. Come detto, infatti, senza uno sforzo condiviso a scala mondiale la politica climatica dell’UE è destinata all’irrilevanza.
La seconda proposta avanzata nell’incontro di NENS del 10 luglio riguarda la riforma del sistema ETS (Emission Trading System) che rappresenta il principale strumento usato finora dall’UE per ridurre le emissioni di gas serra dei settori industriali più inquinanti. La Commissione UE ha proposto una riforma basata sulla costituzione di un fondo di riserva nel quale immettere o prelevare permessi di emissione a seconda che il numero di permessi in circolazione superi o sia al di sotto di due limiti prefissati. La soluzione indicata dalla Commissione è stata criticata in quanto incapace di garantire il risultato atteso, ma non dichiarato, di stabilizzare il prezzo dei permessi entro una banda prefissata. Infatti, il prezzo attuale dei permessi di emissione di CO2 (EUA), che oscilla da un paio di anni attorno a 5 euro, non è in grado di stimolare alcun investimento per la riduzione delle emissioni. La stessa forte variabilità riscontrata nel tempo del prezzo degli EUA non a chi deve ridurre le emissioni di fare business plans attendibili. Per questo sarebbe opportuno fissare un collar esplicito di prezzo della CO2 e affidare a un soggetto ad hoc (alcuni hanno proposto un organismo simile alle banche centrali) la sua difesa. In particolare bisognerebbe fissare una traiettoria crescente del prezzo minimo dei permessi avente come riferimento il raggiungimento al 2030 della soglia di esclusione del carbone senza CCS (cioè senza lo stoccaggio sotto terra dell’anidride carbonica prodotta bruciando carbone) dalla produzione elettrica. La proposta, benché presumibilmente poco gradita ai paesi con alta percentuale di produzione elettrica da carbone, è basata sulla logica economica di procedere adottando la soluzione a minor costo (la sostituzione di carbone con gas, in mancanza di una tecnica di stoccaggio delle emissioni sotto terra che sia competitiva dal punto di vista dei costi) e intende rendere prevedibile il percorso in modo da evitare che l’esclusione dell’uso del carbone senza CCS sia resa impossibile per mancanza di alternative nella produzione elettrica. Il floor del prezzo dei permessi andrebbe poi incrementato anche oltre il livello previsto se la riduzione delle emissioni fosse inferiore all’obiettivo stabilito. D’altra parte il recente Clean Power Plan di Obama e gli indirizzi dell’EPA (l’Environmental Protection Agency Usa) vanno esattamente nella medesima direzione e quindi anche in questo caso potrebbe esserci una politica convergente Europa-USA.
La terza proposta riguarda le fonti di energia rinnovabile. La Commissione europea ha correttamente riconosciuto che il mercato delle FER rischia di contraddire gli sforzi fatti per costruire un mercato unico dell’energia. Oggi infatti esso si articola in tanti mercati nazionali con regole di incentivazione diverse e mette in pericolo lo stesso funzionamento del mercato elettrico delle fonti tradizionali. La proposta avanzata è che l’Italia aderisca alle linee guida sugli aiuti di stato pubblicate in via preliminare dalla Commissione lo scorso 9 aprile e proponga inoltre che, laddove si ravvisi ancora la necessità di promuovere con incentivi le FER, vengano bandite gare a livello europeo, finanziando gli incentivi con fondi comunitari o con un prelievo tra tutti i consumatori elettrici dell’UE.
L’efficienza energetica, infine, è un obiettivo con scarse interferenze tra paese e paese in quanto riguarda il controllo della domanda energetica locale. Giusto quindi l’abbandono di un target quantitativo comunitario (di assai difficile determinazione oggettiva) e il ricorso a politiche specifiche, come fatto finora dall’UE. Gli Stati Membri devono poi applicare queste regole comuni e sta a ciascuno riuscire a farlo nel migliore dei modi (nel caso dell’Italia, ad esempio, promuovendo una migliore conoscenza della situazione dei consumi, come auspicato e in taluni casi imposto dalla Direttiva 2012/27/EU).
Nell’ampio dibattito seguito alla relazione introduttiva sono intervenuti, tra gli altri, il Viceministro delloo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, il senatore Massimo Mucchetti, presidente della commissione Attività produttive di Palazzo Madama, Alberto Biancardi, componente dell’Autorità per l’energia e il gas, Tullio Fanelli, dirigente Enea e già sottosegretario allo sviluppo economico, Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, Umberto Minopoli, presidente di Ansaldo Nucleare, Simone Mori, dirigente Enel, Giuseppe Ricci, dirigenti Eni, Vincenzo De Luca, del ministero degli Esteri, Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto club, e Chicco Testa, presidente di Assoelettrica.
Il Viceministro Claudio De Vincenti ha detto di condividere in gran parte la relazione introduttiva e di essere interessato a esaminare meglio le proposte di introduzione dei BTA (Border Tax Adjustments) e di riforma dell’ETS (Emission Trading System) in vista delle discussioni in seno al Consiglio energia dell’UE. De Vincenti ha anche detto di essere del parere che la Green Economy non sia necessariamente win-win, cioè positiva per tutti i giocatori, e che la forte incentivazione delle rinnovabili abbia prodotto probabilmente una riduzione dei posti di lavoro in Italia. Ha poi operato un distinguo circa le Linee Guida sugli aiuti di stato proposte dalla Commissione Ue dicendo di condividere quanto previsto per introdurre le gare per gli incentivi alle rinnovabili e la messa su un piano di parità delle stesse rinnovabili con le fonti tradizionali negli obblighi per assicurare il balancing delle forniture, ma di non poter condividere le Linee Guida là dove mettono in difficoltà l’Italia nel conseguire gli obiettivi al 2020 fissati dall’UE. In particolare De Vincenti ha sottolineato che le varie Direzioni generali dell’UE (energia, clima, ambiente, mercato interno, concorrenza…) dovrebbero coordinare meglio i loro interventi. De Vincenti si è detto infine favorevole alla riforma del sistema di governance della politica clima-energia dell’UE basata su linee comuni e piani nazionali sottolineando come la SEN (Strategia Energetica Nazionale) recentemente approvata ponga già l’Italia in questa direzione di marcia.
Il senatore Massimo Mucchetti ha insistito soprattutto sulla necessità che la politica clima-energia dell’UE non rappresenti un freno allo sviluppo economico. Bisogna far convivere la politica di difesa dell’ambiente con la politica industriale e la difesa della competitività europea. Finora questo non è accaduto. La proposta dei BTA, ovvero di dazi giustificati dalle differenze nelle politiche ambientali, è senz’altro condivisibile, ma forse non bisognerebbe prestare attenzione solo a questo aspetto che distorce la concorrenza internazionale. Per quanto riguarda la green economy Mucchetti ha detto di non intravvedere balzi tecnologici radicali tali da garantire la sua autonoma affermazione. Se la ‘grid parity’ (il punto in cui l’energia prodotta con fonti rinnovabili ha lo stesso costo di quella prodotta con fondi tradizionali) è stata o sta per essere raggiunta, allora con c’è più bisogno di incentivare le rinnovabili.
Chi invece si è espresso fortemente a favore delle fonti rinnovabili e della green economy è stato Gianni Silvestrini. La direzione di marcia non solo dei paesi industrializzati, ma anche dei paesi di nuova industrializzazione va in questa direzione: La grid parity delle rinnovabili non è lontana e anzi in alcuni casi è già stata raggiunta. Bisogna perciò assecondare la Roadmap europea che al 2050 prevede zero CO2 nel settore elettrico e una riduzione complessiva dell’85% delle emissioni di gas serra rispetto al 1990.
Per quanto riguarda le proposte formulate sugli strumenti di politica ambientale, gli interventi che si sono succeduti hanno in generale concordato con le proposte della relazione introduttiva, anche se con alcuni distinguo.
Dubbi sulla possibilità di introdurre i BTA sono stati, ad esempio, sollevati da Estella Pancaldi (GSE) che ha ricordato il fallimento del tentativo fatto dal Presidente francese Sarkozy e da Simone Mori dell’Enel che ha giudicato la proposta non sbagliata, ma velleitaria. Invece Tullio Fanelli ha considerato questa soluzione non solo necessaria per correggere le distorsioni nel commercio internazionale, ma anche come il primo passo per arrivare a introdurre un’imposta sul carbonio aggiunto (ICA) che disciplini ovunque le scelte dei consumatori tenendo conto delle emissioni di ogni bene o servizio, sia esso prodotto all’interno o importato. Coerentemente con questa impostazione Fanelli ha anche sostenuto che, a suo parere, l’ETS europeo andrebbe semplicemente abolito (‘serve solo alla burocrazia’) perché incoerente con il suo obiettivo di ridurre le emissioni globali e sostituito da una carbon tax.
Un caveat sulla proposta di fissare il floor del prezzo dell’ETS alla messa al bando dell’uso del carbone nella produzione elettrica è stato espresso da Umberto Minopoli che ha richiamato i rischi che l’UE corre se non si punta a un mix diversificato di fonti (all’interno delle quali dovrebbe trovar spazio in Europa anche l’energia nucleare). Qualche dubbio, seppure più sfumato, circa la possibilità che il bando implicito all’uso del carbone possa penalizzare la competitività dell’UE è stato espresso anche da Vincenzo De Luca. Giuseppe Ricci di Eni ha invece condiviso la proposta di guidare la transizione passando da un combustibile a più alto contenuto di carbonio a quello più basso (il gas) che potrebbe prendere piede anche nel settore trasporti (in particolare nel trasporto marittimo) purché si pensi a realizzare le infrastrutture necessarie.
Il tema della promozione delle fonti rinnovabili ha visto la sostanziale condivisione da parte di tutti delle proposte avanzate (opportunità di introdurre regole comuni ed eventualmente di svolgere gare europee che facciano sviluppare la produzione dove costa meno e da chi è in grado di farlo al minor costo). Per contro vi sono state visioni molto divaricate sull’impatto che l’incentivazione può avere sui costi della produzione elettrica e sul sistema economico. Molti hanno infatti sostenuto che gli incentivi alle rinnovabili hanno penalizzato non solo i consumatori elettrici che si trovano a pagare prezzi decisamente più alti della media europea, ma anche l’economia italiana che avrebbe potuto impiegare meglio i molti fondi destinati alle rinnovabili con limitate ricadute occupazionali interne. Altri hanno invece sostenuto che lo sviluppo delle FER è comunque una direzione di marcia ineludibile e che ha già avuto e potrà continuare ad avere ricadute benefiche sull’occupazione in Italia.
Il tema delle rinnovabili è dunque stato visto come strettamente intrecciato con quello della competitività e al prezzo dell’energia. Anche a questo riguardo sono stati espressi pareri non sempre allineati. Per Fanelli, ad esempio, la crisi americana è stata originata dagli alti prezzi dell’energia e la ripresa attuale è dovuta alla rivoluzione dello shale gas e ai bassi prezzi dell’energia. Il basso prezzo dell’energia è uno dei fattori che incidono sulla localizzazione delle nuove attività produttive. Per Mori la ripresa economica del Giappone, che pure ha dovuto subire l’impatto dell’incidente di Fukushima e l’aumento dei prezzi dell’energia, mostra che non necessariamente dobbiamo puntare ai bassi costi dell’energia per uscire dalla crisi. In ogni caso, come ha sostenuto Alberto Biancardi dell’Autorità per l’energia, ci sono molti modi per ottenere una riduzione dei prezzi dell’energia: le politiche fatte in questi ultimi anni per aumentare la concorrenza nel mercato del gas e l’allineamento del suo prezzo con quello europeo ne sono la prova. Biancardi ha anche ricordato che le Linee Guida per gli aiuti di stato consentono forse di superare i conflitti su quali settori industriali possono essere esentati dal pagare oneri di sistema per difenderne la competitività. D’altronde una riflessione più generale sul sistema tariffario si impone se non si vuole che un numero sempre maggiore di soggetti tenti di sfuggire al pagamento di alcuni corrispettivi, quali oneri di rete e di sistema, ma anche fiscalità, appesantendo ulteriormente i costi di chi non riesce a sfuggire a tale pagamento.
Nel trarre le conclusioni di quanto emerso nel dibattito, Pierluigi Bersani ha sottolineato che l’Italia dovrebbe approfittare della sua presidenza del Consiglio dell’UE e dei mesi a disposizione per imporre una discussione sui temi di fondo della politica economica europea così come di quelli riguardanti la politica clima-energia. Basare tutto su numeri magici serve a poco e quindi non si tratta di discutere su quali numeri debbano sostituire il 20-20-20. Non è neppure auspicabile che si continui a dire che la politica clima-energia è una politica win-win: ci sono dei trade-off e tanto vale riconoscerlo e fare delle scelte tra cui quella di dire che gli incentivi a un certo punto devono cessare perché questa è la loro funzione naturale. Quanto alle proposte avanzate, ci si potrebbe attestare su queste posizioni:
- Porre con forza in Europa la questione dei BTA (Border Tax Adjustments), pur se consapevoli che la strada è decisamente in salita;
- Chiedere una riforma dell’ETS (Emission Trading System) che produca un prezzo delle emissioni di carbonio in grado di orientare davvero gli investimenti;
- Spingere l’UE a creare un mercato comune anche per le fonti rinnovabili armonizzando regole e incentivi in modo da eliminare le asimmetrie tra gli Stati membri;
- Favorire una maggiore integrazione tra le varie anime decisionali presenti nella Commissione UE.
Quanto ai temi appena sfiorati nell’incontro, come quelli della riforma del mercato dell’energia, della promozione delle rinnovabili e della sicurezza delle forniture, Bersani ha affermato che saranno oggetto dei prossimi incontri organizzati da NENS, a iniziare proprio dal problema della sicurezza degli approvvigionamenti che verrà trattato all’inizio dell’autunno.
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